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Mostre Rovigo: PER UN MARE BUCATO


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TeleAgenda.it - Mostre Rovigo Aprile 2021

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Mostre Rovigo (RO)

MARE BUCATO

V.LE PORTA ADIGE 45 - Rovigo (RO) V.LE PORTA ADIGE 45

Da Giovedi 11
a Domenica 14 Ottobre 2007

   www.lafieradelleparole.it

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PER UN MARE BUCATO


Nella poetica di Renato Pengo il punto di partenza - o piuttosto il luogo del non ritorno – coincide con l’azzeramento dell’immagine televisiva, intuizione geniale che ha fondato il suo pensiero creativo fin dagli albori degli anni Settanta (tanto da accompagnarlo in ogni sua mostra il rimpianto caposcuola del Nouveau Réalisme, il famosissimo critico Pierre Restany), siglandone ogni successivo parto creativo.
E’ in questo lapsus cruciale che l’artista si pone criticamente (e convulsamente), ovvero nel passaggio interrotto dell’ultima sequenza televisiva, nel singhiozzo di un’alta definizione mediatica che prelude all’esplosione definitiva, approdando al nuovo Big-bang della cultura post-mediatica. Quale futuro? Per il momento unico slogan possibile, gridato a chiare lettere fin dalla X Quadriennale romana del 1975 è l’urlo straziante e al contempo ribelle dell’artista che ci ammonisce: “non siamo più essere umani”.

Lo shock tecnologico, insieme black-out mentale, balbettio psico-sociale e cortocircuito culturale, proposto dall’universo spirituale di Pengo porta inevitabilmente alla rigenerazione, materializzata nel blu assoluto di Yves Klein, abissale cromia impregnata di energia cosmica in libera propagazione nello spazio; uno spazio che a sua volta coincide col vuoto diventato finalmente pieno. A dispetto del vuoto intellettuale propagandato dalla cultura di massa che imperversa dagli anni sessanta ad oggi (e chissà ancora per quanto), in cui l’individuo è privato di un’identità, di una lingua attivamente pensata-parlata-scritta, di una scrittura che piuttosto di condurre all’alterità porta al più ovvio non- sense, sfociando nella complicazione/presunzione tecnologica, nell’horror vacui dell’internauta, il vuoto nell’immaginario di Pengo è gravido di energia cosmica, e in questo mare vitale, nel magma della creatività ansiosa e niente affatto comune, si lancia il novello tuffatore di Paestum, donde la salvezza dell’uomo mediante una risoluzione alchemica (si intitola Apocatastasi uno tra i più recenti cicli pittorici dell’artista padovano, incentrato proprio sulla vittoria spirituale degli elementi rispetto alla sofisticazione dei mezzi tecnologici).

Il mare, evocato da un cubo di 50 tele sovrapposte, dipinte di blu, attraversato da impercettibili fremiti di variazioni tonali è sorretto da pallets, solitamente portati dal mare coi loro containers. Dal foro sulla sommità del cubo filtra la proiezione del mare di una diapositiva, commentata dallo spirito delle onde. Il passaggio del messaggio tra la realtà e la virtualità del mondo attende il navigatore impavido e sensibile al richiamo della verità che corre parallelamente alla virtualità e mai vi si confonde. Nell’era della globalizzazione l’Ulisse contemporaneo accetta la sfida ben preservando la memoria ancestrale della collettività e l’eredità del passato (inteso come memoria storica), quale filo di Arianna per non concedersi al labirinto virtuale.
Il mare, bucato dagli incandescenti interrogativi esistenziali dell’artista, forato come una camera oscura nei tanti diaframmi costituiti da telai interamente blu, adotta il paradosso quale strumento linguistico per inerpicare il pensiero sulla via delle asperità e dell’inquietudine contemporanea.

Siano gli uomini border-line, gli intellettuali anticonformisti, i pensieri precari, gli anti-bestsellers, le energie alternative, il dubbio propositivo, le solide chiavi di volta per creare e strutturare una generazione viva. La catastrofe ad un passo, unico plausibile quesito nella dispersione post-tecnologica è chiedersi chi siamo, dove stiamo andando.
Renato Pengo ce lo chiede ogni volta ci si appresti a confrontarsi con una sua opera, inducendoci sulla soglia di un interrogativo che si apre alla varietà, per concedersi (e riaccompagnarci attraverso) il miracolo della diversità.


Melania Ruggini

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